Tifiamo Rivolta

" Non risplende più il sole che scaldava la povera gente, Sta cambiando l' aria il vento dell' Ovest non si fermerà...

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nostalgico
CAT_IMG Posted on 8/12/2008, 00:00 by: nostalgico




Conoscevo l’Autodifesa di Honecker, ma hai fatto bene a riproporla, per tutti quelli che non l’hanno letta.
Ai tempi del processo, ero nella LTd’I, sezione italiana della Lci, della quale ho fatto una breve illustrazione qui
http://giovaninternazionalisti.forumcommun...net/?t=21525566
La sezione tedesca della Lci, la Spad (Spartakist ArbeiterPartei Deutschland), una delle sezioni più importanti d’Europa, fu in prima fila nell’organizzare manifestazioni in difesa di Honecker e di Erich Mielke
http://it.wikipedia.org/wiki/Erich_Mielke
e nella propaganda in loro difesa.

Tale difesa era comunque da un punto di vista trotskista, pertanto, anche se poteva apparire contraddittorio, c’era una logica nel fatto che, ad esempio, nello stesso articolo (ne ricorso uno sul periodico della LTd’I “Spartaco”) si potesse esaltare Honecker come “eroico combattente contro il nazismo” e come difensore della RDT contro la svendita e la sua distruzione ad opera di Gorbaciov, eccetera, e, al contempo, lo si criticasse apertamente perché burocrate stalinista, ovvero nemico della “rivoluzione politica” invocata dai trotskisti contro la burocrazia che indeboliva il Blocco sovietico, perseguiva una politica di pacificazione e convivenza ed ostacolava la rivoluzione mondiale.
Al momento, però, Honecker e Mielke erano processati in quanto simboli del Socialismo Reale e, pertanto, erano difesi incondizionatamente dall’Lci.
Si scriveva “Honecker viene processato dal tribunale sbagliato perle accuse sbalgiate”.
Naturalmente, leggendo gli altri miei interventi, avrete capito che ho da un bel pezzo abbandonato il trotskismo…

Veniamo ora alla questione sollevata da Pazzi Scatenati.

In Urss le organizzazioni che potremmo definire “fasciste”, come Pamjat e i “Cento Neri”, entrambe ultranazionaliste, reazionarie e fortemente antisemite, erano bandite, come, ovvio, quelle di diretta ispirazione fascista.
Per quanto possiamo dire che le cause materiali del razzismo (ignoranza e miseria) fossero state rimosse, nel senso di eliminate, ciò non vuol dire che forme di discriminazione o retaggi razzisti e nazionalismo “granderusso” non potessero riproporsi, anche in forme non organizzate.

L’Unione Sovietica, come l’impero zarista, era un territorio immenso, in cui vivevano decine di gruppi etnici diversi, vi erano molte lingue e dialetti differenti, come pure culture, usi e religioni.
Lo “sciovinismo granderusso”, tornato apertamente in auge con la fine dell’Urss (secondo alcuni, anche durante l’Urss, il sentimento nazionalista o l’idea di “impero” era comunque forte, e ciò, in parte, è vero), aveva però lasciato la sua eredità.
Per molti, nonostante la propaganda internazionalista, la “solidarietà fra i popoli”, il legame e gli aiuti a paesi del Terzo mondo (anche per ragioni di interesse economico e strategico), soprattutto nel corso delle lotte anticoloniali, rimaneva una coincidenza fra “Unione sovietica” e “Patria”.

Già Stalin, durante la II Guerra mondiale, aveva fatto appello a difendere la “Madrepatria”, restituito un certo spazio alla Chiesa Ortodossa perché chiamasse alla difesa della “Santa Russia”, ripreso temi e figure storiche come i generali che respinsero Napoleone, ricostituito le truppe cosacche, istituito decorazioni intitolate ai condottieri del passato (anche il nastro della medaglia di “combattente della Guerra Patriottica”, la decorazione più diffusa, era nei colori oro-nero delle decorazioni zariste). Per questo la II GM è stata chiamata “Grande Guerra Patriottica” e la vittoria è celebrata indifferentemente oggi come ieri.
Per molti russi, zar, Stalin, Putin, sono egualmente condottieri e capi di stato che hanno difeso e portato avanti lo stesso ideale di patriottismo russo e difeso la potenza della “Patria”.
La “coalizione rosso-bruna” formatasi in seguito alla fine dell’Urss, univa nostalgici zaristi, nazionalisti fascistoidi e “stalinisti” dozzinali.

Tornando al passato, è certo vero che durante gli anni Trenta, vi furono massicci “trasferimenti forzati” di intere popolazioni, specie nelle aree asiatiche, il “cuore dell’impero”, voluti da Stalin, ed è possibile che in queste vi fossero elementi di razzismo o discriminazione etnico-culturale, assimilazionismo, eccetera.
La regione del Birobidjan in cui vennero, volenti o nolenti, fatti trasferire molti ebrei russi, ucraini, eccetera, fondandovi la “Repubblica Autonoma Ebraica”, era un’area inospitale dell’estremo oriente.
Tuttavia rimasero notevoli gruppi ebraici, come gli “Ebrei della Montagna” nella regione caucasica del Dagehstan , ad esempio. Comunque, moltissimi ebrei rimasero nei loro luoghi originari di residenza.

D’altra parte, anche durante l’epoca staliniana non si ebbe vero “antisemitismo” istituzionalizzato (esso era anzi esplicitamente considerato reato): erano ebrei stretti collaboratori di Stalin, come il ministro degli esteri Litvinov e il Commissario del Popolo all’industria Kaganovic.
Del resto, gli ebrei erano, per una serie di ragioni, mediamente assai più acculturati (intellettuali, rivoluzionari, scienziati ed artisti ebrei erano numerosi in tutta Europa), per cui molti funzionari sovietici furono ebrei, convintamente comunisti.

Molti dirigenti sovietici, incluso Molotov (la cui moglie fu poi arrestata nel 1948 e liberata alla morte di Stalin), sposarono donne ebree. Anche la figlia di Stalin sposò un ebreo, nonostante la contrarietà del padre, che già ne aveva fatto deportare in un gulag un precedente fidanzato, un regista anch’egli ebreo.

Al contempo, la lotta contro l’opposizione, negli anni Trenta, fece leva su argomenti antisemiti, considerando gli “ebrei” come dei senza patria, infidi, egoisti, destabilizzatori e privi di attaccamento allo Stato sovietico, eccetera. Questo nonostante nell’Opposizione non vi fossero più ebrei che nella “maggioranza” staliniana.
Ebrei erano Zinovev e Kamenev, ma ciò venne rimarcato solo quando essi passarono all’Opposizione.
Dopo la Guerra, il Comitato Antifascista Ebraico, che aveva organizzato gli ebrei nella lotta e propaganda antifascista in Urss a partire dal 1941, venne disconosciuto e il suo ruolo minimizzato, fino allo scioglimento nel 1948, come pure venne praticamente eliminato l’importante teatro Ebraico di Mosca.

La lotta contro il “cosmopolitismo” diventava lotta contro gli ebrei perché essi erano considerati, per le loro peculiarità storiche, come cosmopoliti per antonomasia, quindi nemici potenziali del paese.
Si arriva infine al “complotto dei medici”, inventato nell’ottobre 1952 e conclusosi pochi mesi dopo, con la morte di Stalin, nel marzo 1953, in cui furono accusati medici di origine ebraica.
Peraltro, praticamente subito dopo la morte di Stalin, essi vennero liberati e il governo ammise chiaramente (era la prima volta) che si era trattato di una montatura. Non di un errore, ma di una vera montatura. Lo scrive Giancarlo Pajetta nel suo “Le crisi che ho vissuto”.

Nel 1983 fu creato il Comitato Antisionista, alla cui presidenza fu posto un generale eroe di guerra, ebreo. Tuttavia, tale comitato, nato per una corretta lotta contro il sionismo come ideologia razzista, reazionaria, nazionalista, ebbe anche tratti antisemiti.
Al di là dell’antisemitismo, anche elementi di disprezzo e discriminazione verso la popolazione non russa permasero, a livello popolare, anche in Urss. Del resto, lo stesso governo, per cementare e rafforzare l’unità del paese, continuò il processo di russificazione forzata, già avviato in epoca zarista.

Immigrati in Urss dal “Terzo mondo”, in effetti, credo ve ne siano stati pochi. Del resto era più facile forse raggiungere altri paesi europei. Consideriamo poi che l’immigrazione come fenomeno di massa è iniziata verso la fine degli anni ottanta, più o meno, quando cioè il blocco sovietico era prossimo al crollo.
Per molto tempo, però, studenti di paesi del Terzo mondo (molti dall’Africa, dal sudest asiatico o dal Sudamerica e Cuba) furono ospitati in Urss, dove studiarono gratuitamente nell’Università Lumumba di Mosca, formandosi come ingegneri, medici, agronomi, tecnici, per poi tornare a lavorare nei paesi di provenienza con le competenze acquisite.

Sicuramente, diffidenza ed episodi di discriminazione, magari violenze, accaddero. Tuttavia, ritengo che il rigido sistema di controllo poliziesco scoraggiasse tali azioni, come scoraggiava efficacemente il crimine in generale.
Questo sempre nei limiti di un paese immenso, con decine di migliaia di funzionari, agenti ed ufficiali di polizia, corruzione, retaggi di un paese comunque passato repentinamente dal medioevo alla modernità, eccetera.
Non basta lo spazio di due generazioni a cancellare del tutto retaggi reazionari, mentalità ottuse e sentimenti razzisti e localisti durati secoli.

Naturalmente, nelle aree “periferiche”, quindi abitate da etnie non-russe, è difficile che episodi di discriminazione potessero avvenire.

C’era certo ostilità verso i gruppi e le popolazioni arretrate, per i loro costumi e mentalità, certo era possibile vi fossero venature di razzismo o disprezzo nei loro confronti. Esse venivano magari considerate come rozze, ignoranti, poco abili nel lavoro, passive, eccetera, insomma tutto quello che in Italia si dice dei meridionali.

Sicuramente, tutto scompare dinanzi alle palesi forme di razzismo e violenza (specie verso le persone che, dalle aree periferiche, ad esempio dal Caucaso o dalle ex repubbliche dell’Asia centrale, ora impoveritesi a livelli notevoli, emigrano nelle grandi città come Mosca, San Pietroburgo, Kiev, eccetera) perpetrate soprattutto da parte dei gruppi neonazisti e dalle predette organizzazioni storiche, Pamyat (nata clandestinamente negli anni Settanta) e “Cento Neri”, nata nel 1905, per combattere i rivoluzionari.
L’idea della supremazia della “razza slava” e tutto l’insieme delle posizioni razziste, reazionarie, ultranazionaliste, ritornano prepotentemente a diffondersi, a causa del generale impoverimento seguito al crollo dell’Urss.
I popoli caucasici ed asiatici vengono considerati come inferiori e parassiti, viene loro rinfacciato lo sviluppo e l’aiuto portato dal regime sovietico, eccetera. Naturalmente, ebrei e gruppi nomadi sono altri nemici giurati dei neonazisti russi, come in tutto l’est europeo.

Situazioni analoghe si hanno in tutti gli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia.
La propaganda neonazista dell’”Europa libera” ha trovato terreno fertile tra i giovani dell’ex Blocco Sovietico, scontenti e abbrutiti dalla precaria situazione economica e sociale, nonostante le palesi contraddizioni date dall’essere un’ideologia a sua volta razzista verso gli salvi, considerati “inferiori”.
Ancor più nella ex-Germania est, dove alla situazione economica (sicuramente molto peggiore rispetto al passato) si è accompagnato il nazionalismo tedesco e l’ostilità anticomunista d’origine nazista.
Altri paesi, come la Polonia, hanno recuperato tutto il nazionalismo (frustrato da secoli di invasioni e spartizioni) il reazionarismo cattolico ed antisemita.
La Romania ha ripreso elementi nazionalisti fascistoidi, riesumando anche la Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu, il giovane crismatico leader della “Legione dell’Arcangelo Michele”, che univa elementi religiosi e mistici al nazionalismo più duro ed al razzismo. Idem, in Ungheria si hanno nostalgici delle Croci Frecciate, che già avevano rialzato la testa nel 1956.

Anche nei Balcani, dove pure la nascita della Jugoslavia era avvenuta proprio grazie all’unione delle diverse etnie nell’esercito partigiano di Tito e la convivenza era stata per anni fondamentalmente buona, alla fine della Jugoslavia, i vecchi odii secolari fra cattolici, ortodossi, musulmani, croati, bosniaci, serbi, eccetera, sono riemersi, adeguatamente propagandati dai paesi “occidentali”, fino alla finzione del “povero piccolo Kossovo”, nella quale è caduta anche molta parte della sinistra.
Ricordo un insegnante di letteratura in una scuola superiore di Zagabria che, qualche anno fa, rimpiangendo i tempi della Jugoslavia (in effetti lui aveva forse quarantacinque anni, quando lo conobbi), disse "“Solo Tito riuscì a compiere il miracolo”, riferendosi all’unità fra le diverse etnie.
Se ben ricordo, lo stemma jugoslavo recava una fiamma con cinque lingue di fuoco, rappresentanti le diverse etnie.

Al Mjogonoj, il celebre cimitero di Zagabria (un po'come il Verano), oltre al grande e bel monumento ai caduti della Resistenza, si vede come, oltre che le “aree” per le tombe ortodosse, cattoliche, ebraiche, eccetera, vi siano anche molti riquadri in cui esse sono mescolate. Soprattutto, ricordo molte lapidi recanti invece la stella a cinque punte.
Vi è poi il lugubre enorme marmo nero (sarà forse quattro metri per quattro) della tomba di Tudjman, sempre attorniato da candele, lumini con lo stemma croato, bandiere e fiori, simboli Ustascia.
La foto di Tudjman è tuttora esposta in molti negozi e luoghi pubblici.
Nelle campagne, molti edifici, in gran parte abitati, ancora mostrano sui muri i segni delle pallottole. E'facile imbattersi in monumenti e cippi in memoria di qualche battaglia, tutti con fiori, bandiere, stemmi biancorossi.
Sicuramente cose analoghe avvengono in Serbia...

Bene, questa è la libertà riconquistata dai paesi dell’Est, dopo decenni di dittatura "stalinista" antidemocratica…

Credo proprio di dover aprire una discussione sul Socialismo Reale, appena avrò un attimo…

 
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41 replies since 25/11/2008, 00:10   778 views
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